La conferenza prende in esame il significato degli interventi degli architetti “ospiti” della città di Genova, di varia estrazione e provenienza. Una tradizione – iniziata con Galeazzo Alessi – che potremmo dire quasi eccezionale nel panorama delle città italiane; Genova è un atlante dei registri architettonici che hanno segnato in particolare l’ultimo secolo: si pensi agli estremi rappresentati dalla milanesità di Albini e dalla romanità di Quaroni.
Uno sguardo su una Genova insolita, lontana dall’intrico dei suoi caruggi e alternativa ai palazzi dei Rolli: “Genova, città e architettura nel ‘900” è il titolo di un ciclo di conferenze che la Fondazione dell’Ordine degli Architetti dedica ai principali contributi architettonici e alle trasformazioni urbanistiche del secolo scorso, a partire dall’8 aprile e fino al 17 giugno, presso la Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale.
Genova è conosciuta e studiata per il suo centro storico medievale, per le strade aristocratiche del Siglo de Oro e per la sua straordinaria espansione ottocentesca, mentre è meno nota la vicenda della sua trasformazione più recente. Nell’epoca dell’industria, infatti, le trasformazioni produttive e tecnologiche hanno mutato progressivamente, ma in maniera radicale, il linguaggio dell’architettura; una rottura, quella operata dal Moderno rispetto al repertorio classico-accademico familiare anche ai non addetti ai lavori, talmente netta dall’aver provocato, in molti, un senso di rigetto.
Proprio per rendere questa trasformazione più comprensibile, la Fondazione ha chiesto a sei diversi architetti di raccontare l’evoluzione vissuta dalla città nel corso del Novecento, indagandone i processi formativi e le nuove modalità espressive, in modo da far meglio conoscere Genova ai suoi stessi abitanti.
Il quinto appuntamento è per martedì 4 giugno con la Genova percepita e interpretata dai professionisti “foresti” chiamati a lavorarci a vario titolo, nel racconto di Enrico Davide Bona: “Genova per noi”, per dirla con un altro non-genovese illustre.